Capitolo 2: Casa del diavolo

Il secondo risveglio è invece causato da un cacofonico starnazzare di oche, anatre, parenti di gabbiani e trampolieri vari, la fauna del lago infatti ha poco rispetto per gli umani e passeggia fra i camper di prima mattina. Consapevoli di essere a corto d'acqua, organizziamo il tragitto giornaliero mentre facciamo colazione.
Giornata pienissima, oggi, perché nella città di Rotorua, nota meta turistica, le cose da fare non mancano. Noi partiamo dal quartiere di Ohinemutu, una specie di ex ghetto maori dove vilette in stile inglese sono state costruite con un tocco tribale, totem nei giardini e tatuaggi sugli stipiti. Pare che il 35% della popolazione kiwi faccia parte di questa etnia, mentre io posso affermare che il 100% di loro parli con un accento che gli impedisce di pronunciare le vocali nel punto giusto.
La puzza di uova marce continua a perseguitarci e lo farà per tutto il giorno; si tratta di zolfo, dal momento che la città (detta anche Sulphur City) è al centro della zona vulcanica del paese, grande mezza isola del nord e comprendente un numero spropositato di centrali geotermiche. Ci dirigiamo infatti nel parco adiacente al quartiere maori, Kuirau, il solito parco con prati, laghetti, ponticelli, uccellini... e un lago vulcanico fumante, corredato di fanghi in ebollizione e camini di vapori acidi. Dopodiché, decidiamo di visitare Whakarewarewa (provate a dirlo 3 volte velocemente), che non è una serie di caratteri casuali, ma un'enorme foresta di sequoie al limitare della città, nella quale ci inoltriamo seguendo uno dei percorsi rigidamente segnati. Avremo modo di scoprire che, per essere gli inventori del bungee jumping, i neozelandesi sono sorprendentemente proni a recintare, binariare e delimitare qualsiasi cosa.
È quasi giunta l'ora del pranzo, che decidiamo di gustare all'esterno della nostra prossima tappa: il parco geotermale di Wai-O-Tapu. Nonostante laghi fosforescenti, pianure fumanti e crateri primordiali, la nostra attenzione è quasi del tutto catturata dalla caccia fotografica agli uccelli (quelli con le ali) e dalla corsa contro la cacca, che s'innesca contro la nostra volontà nel punto più lontano dall'uscita del delimitatissimo percorso ad anello. Completate con successo entrambe le missioni, rotta verso sud, per continuare il nostro viaggio attraverso i parchi naturali del plateau centrale.
Prima di cercare un posto per la notte e una riserva d'acqua potabile, ammiriamo le Huka Falls, un cannone ad acqua fra le pareti un canyon che s̶i̶ ̶s̶g̶r̶e̶t̶o̶l̶a̶ ̶e̶ ̶t̶i̶ ̶p̶o̶r̶t̶a̶ ̶n̶e̶l̶ ̶f̶ che si conclude con un salto di dieci metri con una portata di 220 mila litri al secondo. Nel caso i cartelli ogni 12 metri vi facessero venire qualche dubbio, NON si possono far volare droni. Ma proprio mai. No. Smettila di chiederlo.
Ci proviamo comunque, ovviamente, ma la giustizia divina ce lo impedisce, e ci farà pagare questa insolenza.
Ultima fermata, non programmata, sulle rive del lago Taupo, il più grande della nazione, che circumnavighiamo poi, su una strada veramente TANTO vicina all'acqua per dirigerci verso il nostro primo camping a pagamento, dal momento che oltre che di acqua cominciamo ad essere a corto anche di elettricità. Purtroppo la sottovalutazione delle distanze e degli orari estremamente polentoni dei locali causano l'arrivo a cancelli ormai chiusi e il parcheggio forzato accanto a dei bagni pubblici nelle vicinanze.
Andiamo a dormire con il cuore pesante, lo stomaco pure (perché se oltre al digiuno non hai scelte al di fuori di una pizza dall'altra parte del mondo l'unica cosa più leggera sarà il portafoglio), i piatti non lavati e uno sguardo preoccupato al meteo, perché il giorno dopo il programma prevede un trekking d'alta quota e quei nuvoloni neri non promettono niente di buono.

Commenti

Post popolari in questo blog

Capitolo 0: Prologo

Capitolo 8: I giorni dell'aquila

Capitolo 5: La lunga marcia